Mostra: Sui Mao L’AVVENTURA DEL SEGNO - Remo Gaibazzi
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Mostra: Sui Mao L’AVVENTURA DEL SEGNO

Presso la sede dell’Associazione si inaugura giovedì 27 giugno alle ore 18.30,
e proseguirà fino al 15 settembre, la personale del pittore spagnolo

Sui Mao
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L’AVVENTURA DEL SEGNO

Nato a Madrid nel 1974, Sui Mao (pseudonimo di Hugo Palomares Fava) ne frequenta il locale Liceo italiano, quindi si trasferisce a Milano dove consegue un diploma in Discipline cinetelevisive, ma al suo ritorno a Madrid si dedica esclusivamente alla pittura, esponendo in diverse collettive.
Questa è la sua prima personale all’estero. Frutto degli ultimi tre anni di lavoro, gli 80 pezzi esposti in mostra sono carte di vari formati, caratterizzate dall’uso di lacche e vernici acriliche che l’autore sommerge di segni a pennarelli di vari colori, ottenendo campiture spesso difficili da decifrare ma che, sovrapponendosi, creano effetti cromatici complessi e affascinanti, tali da catturare lo sguardo come fossero tele in movimento, nei cui effetti cangianti esplode il lavoro dell’artista e dove stupisce il sorprendente impiego del tempo, l’automatismo maniacale, l’apparente perdita di coscienza che ha fatto dire a qualcuno di averne visto affiorare l’inconscio…
Fin dalla scelta dello pseudonimo ( Sui Mao in italiano suona Gatto d’acqua, per altri Pesce gatto…), 
si coglie in questo artista la volontà di guardare a Oriente, certamente attratto dalla ripetitività del segno in sé, del segno puramente significante, quasi temendo che il significato possa condizionarne una,
seppure essenziale, fruizione, come a voler ribadire una corporeità immediata assolutamente priva di senso, brandelli di pelle che  ha innestato sulla sua privata fascinazione per le opere di Gaibazzi,
scoperte qualche anno fa e da allora guardate come modelli da raggiungere, motivo certo ulteriore perchè l’Associazione abbia scelto di offrirgli l’opportunità di mostrarsi proprio qui, orgogliosa che Gaibazzi abbia prodotto allievi e proseliti in Spagna e sicura che Parma non potrà resistere al giudizio della curiosità.

La prima volta che ho visto un suo lavoro, si trattava della riproduzione di un Carcere di Piranesi,
la cosa curiosa non era la perfezione dell’esecuzione, che pure lasciava piacevolmente sorpresi,
bensì il fatto che avesse disegnato una cornice, tutt’intorno fino al margine estremo del foglio,
con dei ghirigori di mille colori, lavorati e rilavorati come avesse voluto riutilizzare il Piranesi
per una rilettura contemporanea da graffitaro consumato nella tecnica da street-art,
pratica peraltro indagata sufficientemente la notte, sui vagoni della Metropolitana di Madrid…
E’ pur vero che il padre, grande “amatore” d’arte, lo aveva iniziato fin da piccolissimo alla visione
dei quadri, già che se lo era portato in giro per tutti i musei d’ Europa a scorrazzare per gli infiniti corridoi,
mentre  fotografava i capolavori (credo possegga la più vasta collezione di foto di quadri  che un privato
possa vantare)…; a parte correre, annoiarsi e addormentarsi sui velluti, miviene da pensare che 
all’originario comprensibile rifiuto di tutta questa storia dell’arte dal vivo, che lo ha indotto
ad occuparsi all’inizio di cinetelevisione come  sbocco necessario di un presunto immaginario
neogenerazionale  (e dunque total immersion in  programmi televisivinotturni tipo “fuori orario”,
indigestione di Manga e dipendenza dalla Play Station), abbia fatto seguito una qualche forma
di reminiscenza che semplicemente non vedeva l’ora di esplodere e che si è concretizzata,
col tempo, nella ricerca di un linguaggio autonomo che da un lato rifuggisse il già visto,
ma dall’altro ne facesse tesoro, da cui le continue sovrapposizioni di segni sul foglio,
a costruire una traccia che nascondendo quella sottostante ne fa affiorare il fantasma, o l’anima, per così dire. 

In seguito mi è capitato di assistere alla sua folgorazione per Gaibazzi, pittore che non conosceva, ma nel quale ha individuato, a suo dire, una maestria ed una poesia che da allora gli sono da monito e stimolo, dice, continuo.
Ed ecco allora che può capitare, guardando le carte di Sui Mao, di non poter fare a meno di pensare a
Klimt, a Klee, a Kandinskij, allo stesso Gaibazzi degli ultimi anni, senza che la loro evocazione risulti
in qualche modo inibitoria della specificità del suo segno, senza soprattutto che la loro ingombrante
presenza offuschi la incredibile leggerezza di queste opere, incredibile mi sembra ancor di più se penso al tempo necessario per terminarle, laddove il tempo coincide oserei dire con lo spazio a disposizione, in una maniacale ossessione per l’horror vacui che alla fine appare, come dev’essere forse ancor più evidente nell’arte contemporanea, solo il colore dei suoi pensieri.

                                                                                                                                    Maurizio Gatti

Parlare del rapporto tra segno e avventura nell’opera di Sui Mao significa
portare ad evidenza il legame esistente tra l’arte e la vita di questo artista spagnolo,
al secolo Hugo Palomares, che ha assunto lo pseudonimo cinese di “Gatto d’acqua”,
emblema di un connubio nel quale l’inoltrarsi nei meandri della pittura si confonde,
fino a coincidere, con la vita nomade che lui stesso si è scelto.
E se, volendo mantenere la lunghezza sonora del gatto acquatico, occorre ricordare
che il pesce gatto è animale che vive in territori di confine, tra acqua salata e acqua dolce,
e che ha sette vite, potendo sopravvivere per ore ed ore fuori dal sul habitat, d’altro canto
è proprio il segno fluido in-finito a farsi dinamica attiva tra aria e acqua
con tutte le conseguenze che il trasparire e il cangiare e il riverberarsi
hanno quali esiti decisivi della sua pittura, persino quello di trasformare
il rettangolo della superficie in una lastra marmorea o in un terroso sottobosco.
Vivere all’avventura, senza fissa dimora, meglio, vivere l’avventura trova corrispondenza
nel segno che si inerpica, corre, scompare e riemerge, mappa topografica di se
stesso e del termometro interiore dell’artista, bioritmi e probabili cali di
pressione compresi. Ha affermato, lui stesso, di essere rimasto folgorato dalla
conoscenza di Remo Gaibazzi e della sua opera. Se l’ossessione della parola
“lavoro” è stato il pegno versato dall’artista di Parma all’arte – un’arte
intesa nella sua accezione più radicalmente fredda e crudele – Sui Mao stempera
l’ossessione nell’avventura del segno, ma ne esalta la maniacalità.
                                                                                      Mario Bertoni

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